Turchia, Siria e Kurdistan sono al centro del dibattito politico internazionale in questi ultimi giorni. Parallelamente, il saluto militare dei calciatori della nazionale turca ha monopolizzato anche l’attenzione dei media e di chi si occupa di Calcio a tutti i livelli.
Cosa pensa il Dio Pallone di tutto ciò?
Abbiamo deciso di approfondire questa tematica in maniera particolare, con gli occhi del calcio e senza – speriamo – semplificare la realtà. Lo abbiamo iniziato a fare durante il weekend appena conclusosi, in occasione della presentazione della Mostra Esperanto, dove abbiamo parlato di Dalkurd, di Istanbul United e di molto altro in compagnia di Francesco Andreose e Tommaso Khâlid Valisi. Qui il video completo della presentazione: https://www.facebook.com/offsidefestitalia/videos/2383211818473996/
Gli stessi speaker, che rispettivamente curano le fanpage Non Chiamateli Provinciali e Medio Oriente e Dintorni hanno deciso di raccogliere il nostro invito e rispondere qui per iscritto a qualche altra domanda che abbiamo voluto porgli al termine della presentazione.
Ecco quindi qui di seguito 3 domande ciascuno per farsi un’idea su come il mondo del calcio sta affrontando e ha affrontato queste tragiche vicende.
A Francesco Andreose chiediamo…
Come vedi l’attuale reazione del Dalkurd (squadra di calcio svedese fondata da immigrati curdi) e del suo capitano? Perchè secondo te c’è poco interesse a esporsi?
Nei giorni che sono seguiti allo scoppio del conflitto nella Siria del Nord, ho visto due modi differenti di manifestare la solidarietà ai curdi attaccati dalla Turchia: uno più istituzionale sui canali ufficiali del Dalkurd FF e uno più coinvolto e appassionato da parte dei gruppi di tifosi del Dalkurd e, soprattutto, del capitano Pesharaw Azizi. Quest’ultimo è molto attivo a livello personale sui propri canali social – Twitter in primis – per esprimere solidarietà ai curdi siriani e soprattutto per far da megafono a mobilitazioni e manifestazioni pro-curdi che si tengono in Svezia. Non credo tuttavia ci sia poco interesse da parte del club a esporsi: il Dalkurd è stato fondato da immigrati curdi che, seppur di origine irachena, sono sensibili alla causa. Il club si sta comportando in maniera istituzionale come, a parer mio, dovrebbe fare ogni club professionista degno di questo nome. Ha manifestato la sua vicinanza ai curdi siriani pubblicando post a sostegno della causa sui propri social media, mentre i giocatori prima del fischio d’inizio dell’ultima partita di campionato hanno srotolato uno striscione con la scritta #SaveRojava. Il club si è schierato, come era ovvio, dalla parte dei curdi siriani ma rimanendo nel solco di una comunicazione “istituzionale”, di segno opposto rispetto al tono militante e militare utilizzato da alcuni club turchi come il Trabzonspor, che ha pubblicato sulla propria pagina Facebook un video di supporto all’esercito. Non direi quindi che manca l’interesse da parte del club, c’è soltanto un modo diverso di esprimerlo.
#DalkurdFF #Support4Rojava #Kurdistan #Rojava pic.twitter.com/qkcYpKDw69
— Dalkurd FF (@DalkurdFF) October 12, 2019
Ritornando invece all’interno del confine turco, chiediamo a Francesco: Başakşehir, AmedSpor e Cizrespor che squadre sono? Come si collocano in questo contesto storico? Sono due facce della stessa medaglia?
Non definirei Başakşehir, Amedspor e Cizrespor due facce della stessa medaglia, piuttosto l’emblema della contrapposizione tra chi detiene il potere e chi no. Il Başakşehir è de facto il club del governo Erdoğan, il suo presidente è un sostenitore del partito presidenziale e la compagine si esprime a favore del governo Erdogan da prima dell’operazione “Primavera di pace”. Basti pensare che già qualche anno fa i monitor dello stadio Başakşehir Fatih Terim mostravano i caccia dell’esercito turco che bombardavano la Siria, sottolineando ancora una volta come il potere centrale avesse assoldato anche il calcio nella sua strategia di consolidamento. Diverso il discorso di Amedspor e Cizrespor, due club che sono espressione di Diyarbakır – capitale ideale del Kurdistan turco – e di Cirze – città a maggioranza curda – e che negli ultimi anni hanno avuto più di qualche attrito con il governo. Dalla squalifica dei tifosi dell’Amedspor da parte della Federazione turca per aver intonato canti pro-curdi durante una partita di Coppa di Turchia, alla multa con squalifica di 12 giornate per il giocatore dell’Amedspor Deniz Naki per aver pubblicato sui social un post di supporto alla causa curda. Dall’altra parte, invece, il Cizrespor ha visto negli anni recenti minata la sua stessa attività a causa delle azioni militari del governo Erdoğan condotte a Cizre atte a sconfiggere i terroristi curdi riconducibili al PKK. Insomma, il calcio, volente o nolente, è finito nel vortice di un conflitto intestino che dura da anni e di cui gli sviluppi in nord della Siria sono solo l’ultima propaggine.
Francesco, il saluto militare dei giocatori della nazionale turca ha avuto un grande risalto mediatico. E’ la prima volta che succede nella storia? Ti sembra che in Turchia ci sia più commistione tra calcio e politica che nel resto del mondo?
Che in Turchia ci sia una commistione tra calcio e politica mi sembra palese, basti vedere l’ascesa “miracolosa” del Başakşehir – club formalmente di proprietà del Ministero della Gioventù – che nel giro di pochi anni è passato dall’anonimato alla ribalta nazionale grazie a una serie di sovvenzioni statali e allo sguardo benevolo del governo.
La Turchia attuale è uno stato governato con pugno fermo da Erdoğan e dal suo partito AKP che polarizzano l’interesse su di loro e sulle loro politiche. Anche l’esercito è parte integrante di questo sistema di potere e in questo passaggio storico è più che mai centro dell’attenzione. Un’attenzione che si riverbera anche nello sport ( con i suoi interpreti ) non facendo eccezione, anzi ne è un volano. In queste settimane, i militari impegnati in Siria del Nord sono descritti come quelli che combattono contro dei terroristi che si mascherano sotto le bandiere dello YPG. In questo contesto quindi non sorprende vedere i giocatori della nazionale turca esibirsi in saluti militari ed endorsement per Erdoğan. Non saprei poi quanti lo facciano per convinzione o per convenienza. La Turchia, in questo momento, è un paese in guerra e come tale si sta comportando, cercando consensi anche forzati. Chi si oppone a questo sistema, vedi i casi di Hakan Şükür e del cestista dei Boston Celtics Enes Kanter, diventa un traditore della patria. Rigettato come un corpo estraneo da espellere.
Passiamo la parola a Tommaso Valisi, a cui quindi chiediamo…
Hakan Sukur, storico attaccante turco di fine anni ’90, è diventato il paladino calcistico di chi non si arrende a Erdogan. Chi rappresenta e perché sembrano sempre così sfaccettate le realtà che si oppongono al regime?
Il discorso da fare per Şükür è più o meno lo stesso per Enver Kanter, fenomeno turco del basket che in questo momento non può far ritorno in Turchia perchè rischierebbe l’arresto. La causa va da ricercare nella frattura politica interna all’AKP del 2013 che ha visto coinvolti Erdoğan e Fethullah Gülen. Quest’ultimo, anche se in Italia se ne parla poco, è de facto a capo di una sorta di Opus Dei muslim molto attivo in gran parte delle comunità della diaspora turca, specie in Usa e Germania. Non a caso, quando vi fu la famosa foto fra Erdoğan, Gündoğan ed Özil non era presente lo juventino Emre Can, il quale è uno dei più famosi esponenti del movimento gülenista in terra germanica. Con il tentato colpo di stato del 2015, poi, la situazione è andata via via peggiorando, portando l’inserimento di tale movimento nella lista dei gruppi terroristici turchi, causando fortissime reazioni e proteste in gran parte del mondo turco ed isolando ancor di più lo stesso Erdoğan. Quest’ultimo aveva utilizzato proprio le strutture dell’ex alleato per formare la propria classe dirigente, una volta saltato in tale maniera l’accordo, ha dovuto arrangiarsi sempre di più con politici fedeli ma poco preparati, andandosi così ad indebolire nell’intero mondo turcofono.
@Tommaso, come mai, per esempio, gli ultras del Besiktas – che scesero nel 2013 in piazza contro Erdogan assieme alle altre due tifoserie celebri di Istanbul – ora appoggiano l’azione di guerra in Kurdistan? E’ cambiato qualcosa dal 2013?
Per un’idea errata e molto errata che abbiamo noi italiani di “dividere le cose”. Se in Italia la sinistra è tradizionalmente anticlericale, lo stesso non è per la Turchia, paese, paradossalmente, molto più vicino agli Usa da questo punto di vista. Nazim Hikmet, uno dei più grandi poeti del ‘900 e comunista dichiarato, venne esiliato ed incarcerato proprio per le sue idee politiche, considerate pericolosissime in un paese che aveva appena trovato il proprio punto fermo nell’esercito. Atatürk era infatti, si fortemente laico, ma era anche un militare deciso a creare una Turchia nuova e nella quale non vi fossero altro che turchi; non a caso, da quel momento la parola “kurdi” cessò di esistere, in favore di un più rassicurante “turchi delle montagne”. Proprio per questo motivo, è molto più l’AKP a sognare una sorta di “nuovo impero ottomano”, nel quale, naturalmente, non vi sarebbe troppa attenzione ad etnia ma alla fede, vera carta d’identità all’interno del mondo muslim. Visto con questa luce, il pensiero dei tifosi del Beşiktaş, storicamente vicini ai movimenti anarchici ed anti religiosi, appare in tutta la sua chiarezza.
@Tommaso, Che ripercussioni sociali avrebbe l’idea di spostare la finale di Champions League prevista a Istanbul nel 2020? Avrebbe davvero un effetto concreto?
Sarebbe un’enorme manifestazione di ipocrisia per l’Europa e la Uefa, che si ritroverebbe a dover ammettere di aver tradito in pieno i principi di imparzialità che recita con tanto amore da anni. Assurdo, infatti, pensare di togliere la finale da Istanbul quando da anni si permettono alle squadre israeliane di competere in una competizione che non gli spetta nemmeno per confini. Farlo scatenerebbe un’incredibile e giusta ondata di polemiche, isolando sempre di più la Turchia e creando un vittimismo sempre più grande nei confronti dell’Europa, paradossalmente eliminando uno degli elementi di maggior successo per la coesione fra stati.
NOTE:
Se volete approfondire ulteriormente quanto raccontato in queste poche righe da Tommaso Valisi, potete raccogliere ulteriori informazioni a questi link provenienti dal suo blog:
https://marcobellinazzo.blog.ilsole24ore.com/2019/10/15/turchia-football-club-erdogan-cerca-piegare-calcio-alla-ragion/
https://giocopulito.it/redazione-gioco-pulito/
G.Rosini, Istanbul Başakşehir tra pregiudizi, accuse fondate e successi sportivi. “La verità è che sta rivoluzionando il calcio turco”, il Fatto Quotidiano
https://www.ilfattoquotidiano.it/2019/01/29/istanbul-basaksehir-tra-pregiudizi-accuse-fondate-e-successi-sportivi-la-verita-e-che-sta-rivoluzionando-il-calcio-turco/4918563/
Y. Riccardi, Ovunque Cizre, ovunque Resistenza”: nel 2015 il Kurdistan sfida la Turchia negli stadi,Ultima Razzia
https://www.ultimarazzia.it/ovunque-cizre-ovunque-resistenza-kurdistan-sfida-turchia/
A.Orsini, Le ragioni della Turchia che l’Europa non vede, il Messaggero
https://www.ilmessaggero.it/editoriali/alessandro_orsini/turchia_europa-4789638.html