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Scappa, terrorista Ku – Giovanni Fasani per Esperanto

Ci sono paesi che in determinati momenti storici hanno conosciuto regimi o orientamenti politici fortemente limitativi della libertà personale: l’oppressione può essere talmente forte da creare un forte clima di sospetto, dove tutte le persone possono essere incolpate di tramare contro la coercitiva guida governativa anche senza fondamento.
A maggior ragione le persone più in vista rischiano di venire coinvolti in veri e propri scandali, qualora il loro nome venga solamente avvicinato a qualsiasi tipo di fenomeno sovversivo: basta, in concreto, fare qualche sgarro alla persona sbagliata o commettere qualche leggerezza per essere accusati e magari subito incarcerati, senza che la notorietà o l’influenza di altri possa intromettersi.
A seguito dell’invasione sovietica del 1956 l’Ungheria rientra in fretta e tragicamente nel Patto di Varsavia, finendo per essere assoggettata all’influenza politica dell’URSS, intensamente influente sulla vita di tutta la popolazione magiara.
Sono note le “fughe” di gran parte dell’Aranycsapat proprio negli anni’50, con i giocatori che trovano rifugio in altri stati anche in maniera rocambolesca,pur di allontanarsi dalla pericolosa situazione.
Negli anni fino al 1989, anno dell’uscita dal Patto di Varsavia, il clima politico sociale è meno cruento ma ugualmente teso, con il contesto calcistico che vive un momento interlocutorio, con la relativa nazionale che fallisce per due volte la qualificazione al Mondiale, salvo gli exploit della partecipazione all’Europeo del 1972 e l’argento olimpico ottenuto nel medesimo anno.
In quel periodo uno dei grandi protagonisti è senza dubbio Lajos Kű valido attaccante, costretto, nel 1977, ad una precipitosa fuga dalla natia Ungheria per motivi molto lontani dal calcio.

Il calcio è sin da piccolo la sua grande passione, visto come unico svago da un’epoca di grandi privazioni come gli anni’50 nel contesto magiaro; a rendere ancora più complicata la sua esistenza arriva la morte del padre quando ha solo tre anni, costringendo la madre a trascurarlo per guadagnare quanto necessita per lui e per il fratello maggiore.

Quella che sembra una passione giovanile si tramuta nell’opportunità di una vita migliore nel 1962, quando entra nella giovanili del Videoton dopo essere stato notato in un match scolastico.
Tra qualche problema alle ginocchia ed una struttura fisica che sembra a molti troppo gracile, riesce ad entrare in prima squadra  19 anni, dando una svolta significativa ad una vita altrimenti dedicata al duro lavoro.
L’esperienza con i rossoblu di Székesfehérvár termina nel 1968 quando si trasferisce al Ferencváros, la sua squadra preferita per il quale ha sempre tifato, ammirando i grandi campioni del decennio precedente.
Ad accrescere l’onore di giocare per la compagne biancoverde c’è il fatto di poter giocare con Florian Albert, il calciatore magiaro più forte del periodo, nonché fresco Pallone d’Oro.Nella sua prima stagione vince subito il campionato, mettendosi in mostra come una mezzapunta di talento e di grande versatilità, a suo agio in un squadra che fa del possesso palla e della manovra articolata un autentico mantra.
Negli anni successivi arrivano due coppe nazionali ed, a livello internazionale, il raggiungimento della semifinale di Coppa Uefa 1971/1972. A frapporsi tra il Fradi e la finale contro il Tottenham è il Wolverhampton, abile a pareggiare per 2-2 in Ungheria e ad imporsi per 2-1 al Molineaux. In quest’ultima partita è proprio un gol di Kű ad inizio ripresa a alimentare infruttuose speranza di rimonta.

A livello internazionale però l’apice lo raggiunge nel 1972, quando con la nazionale maggiore vola in Belgio per la fase finale dell’Europeo e con la rappresentativa olimpica partecipa ai Giochi di Monaco di Baviera.
L’Ungheria ritorna giocarsi la vittoria del Campionato Europeo dopo il terzo del 1964 grazie alla vittoria ai quarti di finale contro la Romania, decisa solamente nello spareggio di Belgrado grazie al successo per 2-1, dopo che le due partite di andata e ritorno erano terminate con altrettanti pareggi.
La compagine del commissario tecnico Rudolf Illovszky trova sulla sua strada la forte Unione Sovietica, dalla quale viene battuta per 1-0 per effetto del gol di Anatoliy Konkov.
Nella finale per il terzo posto il Belgio prevale per 2-1, con Kű  che si toglie la parziale soddisfazione di segnare su rigore il suo unico gol con la maglia della nazionale maggiore.

Nel settembre dello stesso anno la nazionale olimpica arriva davvero ad un passo dall’oro, perdendo la finalissima con forte Polonia, trascinata da un grande Kazimierz Deyna, autore della decisiva doppietta.
La squadra magiara, sempre allenata da Illovszky, domina letteralmente il proprio girone di qualificazione alla finale, battendo Germania Est, Messico ed i padroni di casa della Germania Ovest, questi ultimi annichiliti con sonante 4-1, impreziosito da una bella doppietta di Kű.
Quest’ultimo rientra in patria con la medaglia di argento, mal accolta da federazione e dal governo che sognavano il terzo oro consecutivo dopo i successi del 1964 a Tokyo e del 1968 a Città del Messico.
Per Kű invece i problemi saranno di tutt’altra rilevanza a partite dal 1977, quando la sua permanenza in Ungheria diventa difficile per non dire impossibile.
Da sempre l’attaccante di Székesfehérvár approfitta delle trasferte oltreconfine per avvicinare i tanti immigrati magiari, per portare loro conforto e condividere le notizie provenienti dalla comune patria.
Tale comportamento gli vale l’accusa di svolgere antinazionali, con fini contrari a quello che sono i principi base dello stato ungherese. Le accuse arrivano sullo scrivania del presidente della federazione calcistica István Kutas, il quale non perde tempo per accusare Kű di essere contrario ai principi comunisti e di essere un fervente antisemita.
La prima conseguenza di tali infamanti accuse è quella di essere licenziato dal Ferencváros, poco propenso ad avere in rosa un giocatore inviso alle autorità, nonché una potenziale patata bollente tra le mani nei mesi a venire.
Dopo qualche partita al Vasas diventa per lui impossibile continuare  giocare anche in un contesto diverso, ricevendo una mano dall’ex gloria Gyula Grosics, che gli concede la possibilità di giocare con il Volan.
E’ però evidente come per lui non sia solo questione di squadra o città, ma di nazione, dal momento che il lavoro per screditare il suo nome lo ha reso generalmente persona sgradita.
Nel 1977, esasperato dalla situazione, mette in atto un piano di fuga davvero degno di un film.
Quasi come un clandestino raggiunge Subotica in quella che al tempo è la Repubblica Jugoslava, riuscendo nell’anonimato più assoluto a raggiungere Gorizia, in quello che lui chiama il “mondo libero”. Dopo un breve soggiorno italiano si reca in Svizzera dall’amico Péter Pázmándy che gli concede di allenarsi con il Servette, squadra elvetica del quale l’ex difensore è allenatore. 

A questo punto la questione si fa più complessa, sfociando nell’illegalità: sfruttando contatti in Belgio, Kű ottiene un passaporto falso che gli permette di entrare nel territorio belga e di poter allenarsi con il piccolo club del Courtrai. In tale contesto viene notato dai dirigenti del Bruges che decidono di metterlo sotto contratto.
Ovviamente dall’Ungheria la sua fuga e le sue peripezie tra i confini di mezza Europa non vengono prese bene, causandogli un squalifica internazionale di una anno.
Non contenti della punizione il governo ungherese diffonde voci per screditarlo ulteriormente, come quella che vivesse come un clochard o quella che sarebbe stato coinvolto in una rissa e portato in prigione.
La sua carriera viene salvata dal leggendario Hernst Happel, allenatore del Bruges, che gli conferma la sua massima stima e la sua volontà di inserirlo nell’undici titolare non appena terminata la sospensione.
A mettere fine alle tendenziose voci e alla sua assenza forzata dai campi arriva la finale di Coppa dei Campioni del 10 maggio 1978, disputata proprio dai Blauw en Zwart  contro il forte Liverpool di Bob Paisley: nel match vinto dai Reds per 1-0 il calciatore magiaro scende in campo con il numero 10 per 58°, confermando a tutto il mondo (sono 120 i paesi collegati televisivamente) il suo status di uomo e calciatore libero.
 Addirittura avrebbe anche la possibilità di portare in vantaggio la sua squadra verso la fine del primo tempo, quando solo un tempestivo intervento di Emlyn Hughes riesce a mantenere inviolata la porta di Ray Clemence.

L’esperienza in Belgio dura fino al 1980, impreziosita dalla conquista di due campionati e soprattutto dalla possibilità di riabbracciare l’amata madre sfruttando i buoni uffici che la ritrovata aurea di calciatore internazionale gli hanno garantito.
A 32 anni viene attratto dai dollari americani della Major Indoor Soccer League, dove ha la possibilità di giocare con Eusebio nei Buffalo Stallions, nei quali milita per una stagione, prima di tornare per giocare con l’Eisenstadt e l’FC Mönchhof in Austria e mettere fine alla sua carriera agonistica nel 1984.
La sua vita post calcio lo vede diventare uno stimato uomo d’affari, sempre legato alla sua patria, nella quale ritorna nel 1997 dopo vent’anni di forzato esilio contraddistinto da una fuga rocambolesca e da anni difficili affrontati però con sfrontatezza ed orgoglio.
Davvero un’esistenza limite quella di Lajos Kű.
Autore: Giovanni Fasani
Articolo originale: La fuga di Lajos Ku
http://allafacciadelcalcio.blogspot.com/2019/04/la-fuga-di-lajos-ku.html?m=1
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